VIVERE IN BELLEZZA

Il carisma dell’unità vivifica anche l’arte

 

L’arte per me non è appendice, quasi esperienza a latere, né tanto meno passatempo o ricerca di un nuovo spazio sociale, di  un nuovo lavoro: l’arte, per me, è vita; è la vita!

Fin da piccolo seguivo il papà, giornalista-redattore della pagina di cultura della Gazzetta di Mantova, nel suo lavoro in luoghi d’arte, palazzi antichi, mostre ed imparavo così a guardare il mondo con occhi di stupore, di meraviglia, insomma di bellezza.  Nello stesso tempo il mio sguardo di bellezza era rinforzato nel contrasto con l’esperienza della sofferenza che scorgevo durante le molte visite all’ospedale o in carcere, sempre col papà, ove si recava per raccogliere notizie di cronaca nera! Lì, il desiderio che provavo di risanare quei corpi e quelle anime, mi parve, in seguito, desiderio di ripristinare la loro bellezza.

Perciò, a diciannove anni, dopo la mia prima mostra di pittura, rinunciare a proseguire su quella strada, per iniziare l’università, nella facoltà di medicina, non mi parve scelta difficile e dolorosa: in fin dei conti cercavo sempre la bellezza, pur in una strada diversa. L’esperienza mi suggeriva che non potevo seguirle entrambe, essendo ciascuna in sé, totalizzante!

Fu a quasi sessant’anni che, sia mio figlio ( nel frattempo stava seguendo la strada del nonno!), sia  un amico col quale avevo una profonda confidenza, dopo aver visto miei quadri sulle pareti di casa, mi invitarono a riprendere in mano matite e pennelli. Andai … in crisi. La mia obiezione fu che avevo paura di sostituire Dio, sperimentato come tutto, con la ricerca della bellezza, con l’arte, che pure avevo vissuto, ed era, totalizzante. Ma questo amico  mi tranquillizzò dicendomi che dopo 30anni di vita vissuta cercando di vivere il carisma dell’unità avevo imparato almeno un po’ ad amare e l’arte non era che amore “azzurro”[1]. Con i suoi spazi e tempi, ma sempre e solo amore!

Ho ripreso, pertanto, con la luce e la pace di chi sa di fare la volontà di Dio e non di perdere tempo. Ho ripreso iniziando a frequentare una Scuola, ché la tecnica che pure è arte, non si inventa, ma si impara. Ed ho ripreso volendo mettere la mia arte a disposizione degli “altri”. Pur non sapendo come.

Man mano che si perfezionava in me l’attitudine tecnica ad usare materiali, supporti, colori, segni, soggetti …  si affinava anche la mia riflessione, con la vita e con lo studio, sulla bellezza che andavo indagando. Scoprivo che:

  • L’arte non è riproduzione di ciò che si vede, ma sguardo dentro il mondo, le sue cose, oltre la forma, che è limite, per vedervi la vita che sostiene il tutto e la luce che, come diceva Hemmerle,[2] sta sotto …;
  • Ciò che andavo rappresentando non poteva perciò essere riconducibile ad immagini note, riconoscibili, perché era esperienza “mistica”, dono a me estraneo,” ispirazione “;
  • Ogni volta che mi trovavo davanti ad un supporto “vuoto e bianco”, mi usciva il Crocefisso. Ho

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    così dipinto e tracciato decine di Crocefissi. Perché? Erano le mie esperienze? I miei malati? E’ certo che quei Crocefissi, una volta fissati nel quadro, li sentivo risorti;

  • Fin dai primordi dell’umanità c’è un rapporto particolare fra parola e immagine (vv. graffiti del neolitico; vv. geroglifici; vv. scrittura giapponese, ecc. … ). Per me, che non posso disgiungere la mia vita dal carisma dell’unità, la bellezza è il Verbo (“lo splendore del Padre” dice Chiara Lubich) e la Parola è contemporaneamente Luce ( Prologo del Vangelo di Giovanni), perciò c’è un rapporto ontologico fra Parola ed Immagine in Dio e così, a Suo modello, per noi: ogni Parola è Immagine così come ogni Immagine è Parola. L’icona è il prototipo di questo inscindibile legame. Ad una condizione: che chi “dipinge” la Parola, ami!
  • Il passo successivo a questa nuova certezza è stato “tradurre” la Parola di Vita e le parole di Chiara Lubich in Immagine. Per donarle. Ho trovato l’amore in azzurro!

Son arrivato fin qui. Né pongo altri obiettivi alla mia ricerca del Bello. Eppure ho un desiderio: che tutto ciò sia vissuto in unità con altri amanti della Bellezza, soprattutto artisti. Non so come. Anche nell’arte l’unità è opera di Dio. A me spetta solo di amarLo come vuole, cioè Abbandonato[3]. Perciò non faccio mostre da solo, ma con altri anche di fede diversa, purché accomunati dall’amore alla Bellezza.

Paolo Azzoni

 

Per contattare Paolo Azzoni: azzonipa@yahoo.it

 

[1] Chiara Lubich aveva immaginato le attività umane come un arcobaleno; Azzurro è il colore dell’arte

[2] Klaus Hemmerle (1929-1994) Vescovo di Acquisgrana, teologo

[3] Gesù Abbandonato, punto della spiritualità dell’unità