IN OSPEDALE AI TEMPI DEL COVID-19: L’AMORE CHE SUPERA LA CURA

Sono infermiera presso il dipartimento di pediatria in ospedale. Poco tempo fa, una neomamma viene ricoverata per sospetta positività al covid19 e viene messa, per precauzione, in isolamento.

Al momento di dare alla luce il suo bimbo, deve entrare in sala parto senza il sostegno del marito. Dopo il parto, non le è consentito ricevere visite ma nemmeno tenere fra le braccia il suo piccolo che viene portato in patologia neonatale isolato da tutti. Sono stati fatti i tamponi ad entrambi ma il risultato arriva fra due giorni e mamma e figlio non possono avere nessun contatto.

Vengo assegnata all’assistenza del bimbo e devo usare tutte le precauzioni del caso: guanti, mascherina ecc. Sono lì ma non posso coccolarlo, stringerlo, fargli sentire quel calore di cui ha bisogno. Mi sembra più abbandonato dei neonati che vengono abbandonati in ospedale dai genitori: loro almeno li possiamo coccolare noi!!! Nel cuore sento un dolore atroce e una domanda costante: cosa posso fare per supplire a questa mancanza? Mi viene in mente che posso mettere in contatto mamma e piccolo attraverso il cellulare. Durante il cambio del pannolino e la somministrazione del pasto, l’ostetrica fa filmati, foto e videochiamate alla mamma in modo che possa vedere direttamente il suo bimbo nelle attività di accudimento. E’ l’unico mezzo che abbiamo a nostra disposizione.

Tampone positivo

Nel frattempo arriva l’esito del tampone: positivo. La mamma torna a casa con il suo bambino ed entrambi vengono messi in isolamento domiciliare. Nei giorni seguenti il mio pensiero va continuamente a lei: non ha potuto seguire, gestire e conoscere il suo bambino nei primi giorni dopo la nascita ed ora si trova a casa senza nessun aiuto. Mi accorgo di non aver cancellato il suo numero di telefono usato per inviarle le foto e i video del piccolo durante la degenza: “quasi quasi le faccio sapere che, se ha bisogno, ci sono”!

Prima di contattarla mi confronto con qualche collega, ma tutte mi sconsigliano: bisogna tagliare, non dobbiamo portare a casa il lavoro, i problemi degli altri. E’ vero ma, la parola di vita del mese: tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro, non mi da pace.

Decido di inviarle un messaggio:” se hai bisogno di qualsiasi cosa possiamo sentirci, ti do una mano…..”

Rincuorata, mi ringraziata tantissimo, non è più sola!

Siamo quelli del cuore

Qualche giorno dopo ricevo una nota dal mio direttore che scrive:” non è opportuno prendersi cura telefonicamente dei pazienti senza chiedere il permesso al proprio direttore”.

Mi manca la terra sotto i piedi….. Rispondo chiedendo scusa per la dimenticanza e cerco di spiegare, con delicatezza, l’intento del mio gesto scrivendogli: “mi ha spinta un senso di carità, è stato il cuore a guidarmi, non la mente”. Poco dopo risponde: “ti perdono, siamo quelli del cuore”.

E lì ho proprio avuto la certezza che se si segue Gesù, si fa sempre centro!!!!!!

G.