Suicidio assistito in Emilia Romagna. Gambino: “No a sciogliere con un atto amministrativo i nodi lasciati aperti dalla Corte Costituzionale”

“L’interpretazione di una norma dello Stato – e le sentenze della Corte Costituzionale valgono come norme nazionali – spetta soltanto ai magistrati o ad un atto normativo dell’organo legislativo parlamentare e non certo alle Regioni, che non hanno competenza alcuna in tema di ordinamento penale e di ordinamento civile”. È netto il giudizio negativo del giurista Alberto Gambino sulla scorciatoia intrapresa dall’Emilia Romagna con la delibera sul suicidio assistito

Fonte: AgenSir – 15 febbario – Giovanna Pasqualin Traversa

Dopo il flop del Veneto, la Regione Emilia Romagna ha scelto la via “amministrativa” bypassando il Consiglio con l’emanazione di una delibera sul suicidio assistito che intende dare attuazione alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sul fine vita. Il provvedimento regionale istituisce un Comitato etico (Corec) chiamato a pronunciarsi sulle richieste di suicidio assistito. Diramate specifiche linee guida alle Asl, dando di fatto il via libera alla procedura per la quale è previsto un iter di non più di 42 giorni dalla data della richiesta. Il Sir ha chiesto ad Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato presso l’Università Europea di Roma e prorettore vicario dell’Ateneo, nonché membro del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), un parere sulla “scorciatoia” messa in atto dall’Emilia Romagna.

Professore, come valuta questa “forzatura”? 
Ritengo legalmente erroneo procedere con una delibera che istituisce un Comitato locale per valutare i casi di assistenza al suicidio e, contestualmente, emanare relative linee guida per le Aziende sanitarie.

In Italia, come noto, non esiste una legge sull’assistenza al suicidio per i malati.

Dunque l’aiuto ad assumere un farmaco letale è e resta un reato. La Corte costituzionale ha tuttavia ritenuto non punibile chi presti tale assistenza di fronte a cinque requisiti necessari: malattia irreversibile, dolore insopportabile, sostegno vitale, consenso consapevole e percorso di palliazione. Dunque il reato esiste, ma il potenziale reo potrebbe non essere punito se il suo comportamento si attuasse in presenza dei cinque requisiti indicati.
Quanto alla procedura di assistenza, la Corte ha dato tre indicazioni: il paziente deve prima essere “coinvolto” in un percorso di cure palliative, poi occorre un parere di un Comitato etico e, infine, con riferimento alla prestazione di assistenza, non sussistono obblighi per i medici. continua a leggere