RUSSI E UCRAINI, UNA FAMIGLIA SOLA

Una coppia russa è in prima linea nell’accoglienza dei migranti provenienti dall’Ucraina. A Udine hanno aperto le porte della loro casa, dalla quale sono passate ormai quasi una decina di persone. E ne aspettano altre.

Fonte: Città Nuova 6 Aprile 2022 di Candela Copparoni
Liliya e Andrey sono una coppia russa, di Mosca, residenti in Italia da sette anni insieme al loro figlio diciottenne. Da molti anni, ancora nella loro Russia natale, hanno conosciuto il Movimento dei Focolari, il quale li ha portati fino a Loppiano per seguire un percorso di studi da lei iniziato. Poi un’opportunità di lavoro per lui, programmatore, ha fatto sì che si radicassero a Udine, dove abitano attualmente.

Comunque, nel loro DNA non c’è soltanto l’identità russa, ma c’è una forte storia personale che li lega al vicino Paese dell’Ucraina. Liliya è metà russa metà ucraina, dato che suo papà era nato e cresciuto nella città di Donetsk. Gli antenati di Andrey invece provenivano dalla zona di Žytomyr, per cui lui è un quarto ebreo.

La coppia condivide la fede cristiana, ma mentre Liliya è cattolica Andrey è ortodosso. Quando sono venuti a conoscenza dello scoppio della guerra, sono rimasti scioccati. Non se l’aspettavano, a differenza dei cittadini ucraini, che sospettavano da tempo e avevano paura –spiegano; fino a tre giorni prima sentivano Putin affermare di non voler invadere l’Ucraina, poi i fatti hanno dimostrato il contrario. Hanno tanti amici in Ucraina, una rete di persone con cui hanno un rapporto profondo, e si sentono fortemente addolorati. Così, il giorno in cui agli occhi del mondo tutto è iniziato, si sono recati nel santuario della Beata Vergine delle Grazie di Udine, dove la chiesa ortodossa organizzava una preghiera alla Madonna, e dove una trentina di persone di diverse nazionalità si sono riunite per chiedere la pace. «È stata un’esperienza forte, sentivamo la necessità di pregare. Le persone erano perdute, e siamo arrivati tutti lì per esprimere il desiderio che questa cosa finisca subito. Pregare insieme è stato un seme di supporto», raccontano.

Posso percepire sul loro viso un cuore martoriato dall’atrocità della guerra, una guerra che nella loro terra non può essere pubblicamente chiamata come tale, ma “operazione speciale di liberazione”, sotto pena di carcere. Mi confessano che, come russi, esperimentano una fortissima vergogna per quanto sta accadendo, ma per quello che possono cercano di seminare l’amore e la solidarietà. Così, anche se in Italia, si sono chiesti come reagire e si sono dati da fare. continua a leggere su Città Nuova on line