LETTERA DOPO UNA NOTTE IN TERAPIA INTENSIVA

Lunedì scorso abbiamo ricevuto questa lettera da un medico in terapia intensiva.

Care amiche, cari amici,
eccomi a condividere con voi un pensiero dopo una notte di lavoro.

Tornata a casa ho deciso di attendere la Santa Messa delle Palme presieduta dal Papa. L’ho visto stanco, sembrava sfinito, come se stesse letteralmente portando la croce sulle spalle! La voce che si interrompe, il respiro corto… Quanta sofferenza!
Purtroppo la mia stanchezza ha ogni tanto prevalso, facendomi perdere la concentrazione più d’una volta. Le parole della scrittura continuavano comunque a risuonarmi nella testa: il grido di Gesù Abbandonato, la preghiera nell’orto degli ulivi, la lavanda dei piedi… Ad ogni passaggio la mia mente tornava in ospedale, dai miei pazienti.
Quante volte avrei voluto gridare “Dio, perché ci hai abbandonato?” guardando impotenti la morte e la sofferenza, ma soprattutto la solitudine intorno a noi. Quante suppliche affinché “venga allontanato questo calice amaro”. E il servizio, instancabile, umile, di tanti operatori verso il prossimo steso in ogni letto disponibile. Mai come oggi il brano della Passione sembra reale. E il Papa a rincarare la dose:   -Gesù ci ha salvati servendoci, e noi siamo chiamati a fare altrettanto.

Non voglio solo parlare di sofferenza; oggi desidero condividere con voi una gioia grande: stanotte ho parlato con due dei miei pazienti! Vi chiederete: “Cosa c’è di strano?” e vi rispondo: “Fino a poco fa erano in coma!”. Si sono svegliati, o meglio li abbiamo svegliati perché stanno migliorando. Sì, stanno guarendo! Non abbiamo parlato con la voce (sono ancora intubati), solo con gesti e con sguardi.Per me e le infermiere che erano presenti è stata una gioia immensa: dopo tanti giorni in cui non vedevamo risultati, finalmente una speranza!

In queste settimane ho dovuto spesso motivare il personale del reparto perché ci sembra davvero di faticare tanto senza ottenere nulla. Molti infermieri sono demoralizzati  non vedendo uno scopo in ciò che fanno. Sono morte così tante persone: tre fratelli a distanza di pochi giorni uno dall’altro. Una figlia ha perso entrambi i genitori ed ora è anch’essa in condizioni critiche… Chi ha la forza di sperare?

Adesso arrivano loro due: un esame che va bene, decidi di provare, e loro rispondono! Poco importa se uno fa domande a raffica, vorrebbe parlare ma non ha voce, ti chiede continuamente “Perché? Cos’è successo? Quando andrò via?” Non ho risposte, viviamo alla giornata e andiamo per tentativi. Riesci anche a scherzare, ti fa capire che vorrebbe un bicchiere di vino e rispondi che lo vorresti anche tu, per brindare insieme. Lui ti chiama ogni volta che gli passi vicino, e va bene così. È vivo!
L’altro invece è più tranquillo, non è ancora così vispo, si fa capire con qualche cenno del volto. Gli dici che sta andando bene, che deve avere pazienza ma siamo convinti che ce la farà. Gli prometti che gli darai da mangiare anche se non sente il gusto. Si illumina quando gli chiedi se vuole un po’ d’acqua. Acqua! Così banale, così scontata per chi può alzarsi e versarsi da solo un bicchiere di acqua fresca, ma per lui è il regalo più prezioso che tu possa fargli dopo tutti questi giorni. È vivo!

Noi stiamo lì, ci intratteniamo con loro, che non possono vedersi a vicenda ma sentono noi che parliamo di uno e dell’altro e rispondiamo ad entrambi. Siamo felici. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma ora godiamoci questo momento: c’è speranza.
Domani continueremo a fare il nostro lavoro, anche se sembra di non arrivare mai ad un risultato. Qualche volta il lieto fine arriva e questo ripaga di ogni fatica.

Iniziamo insieme la Settimana Santa, con la speranza nel Risorto.