LA GUERRA E LE PAURE DEI BAMBINI

Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, con le insegnanti delle varie scuole dell’infanzia in cui lavoro come pedagogista, ci siamo chieste come affrontare il tema con i bambini. Era fondamentale dare loro strumenti e chiavi di lettura per ridurre l’ansia che questa nuova intangibile paura creava in loro dopo due anni di paura della pandemia.

Cosa potevo fare io per rispondere a questa emergenza?  Ho cercato prima di tutto di approfondire il tema personalmente. Successivamente ho condiviso una riflessione con le coordinatrici e le insegnanti a partire dai consigli di diversi psicologi dell’età evolutiva. Poi, nei vari  gruppi di lavoro,  abbiamo provato a lavorare su due fronti. Il primo: creare spazi di condivisione dei timori, di ascolto dei bambini e di lettura della realtà per rassicurarli. Il secondo: proporre ambiti costruttivi e propositivi, sia nei contenuti che nella concretezza, nel micro della quotidianità come nella prospettiva e nella distanza con i paesi in guerra.

Abbiamo così pensato di inserire nelle programmazioni del periodo il tema della pace quale sfondo di riferimento, collegandolo al tempo quaresimale che stava iniziando e a tante piste di azione concreta “a misura di bambino”. Si è concretizzata la preghiera per la pace nel momento del pranzo e l’impegno di vedere il bene in ciascuno.  Ancora, la scelta di non sprecare il cibo o l’energia, perché sono spesso motivi di guerra, e l’opportunità di condividere quello che hanno, partecipando ad una raccolta di alimenti per chi accoglieva i profughi dell’Ucraina.

In alcune scuole, abbiamo trovato un canale aperto nella  Congregazione da cui si ispirano, e abbiamo potuto sostenere le comunità religiose in Romania e in Moldavia già impegnate nell’accoglienza di donne e bambini.

Per le altre realtà parrocchiali, ho condiviso una ricerca di enti attivi con il parroco, concordando di rivolgerci al Sermig che ha una sede a pochi chilometri da dove abito.

Predisposta una comunicazione alle famiglie per condividere tutto il percorso – inclusi gli impegni presi dai bambini – abbiamo avviato il progetto e la raccolta.

La risposta dei bambini e delle famiglie è stata straordinaria: ci hanno ringraziato per aver “osato” affrontare il tema da una prospettiva di speranza nonostante tutto, e di aver offerto anche a loro una chiave per rassicurare i loro bambini. In ogni scuola ci  siamo trovati sommersi di generi di prima necessità, da aggregare e inscatolare per tipologia e periodo di scadenza.

 

Iniziava così la seconda fase del mio lavoro: dal supporto all’ideazione al… trasporto!

Nessuna insegnante si è tirata indietro dall’offrire tempo e forze per smistare e inscatolare. Per far arrivare il tutto alla sede del Sermig non c’era altro mezzo che la mia auto. Ho così ricontattato i referenti e organizzato due consegne, dato che una non era sufficiente per la grande quantità di materiale raccolto. Ho coinvolto ora mio marito, ora un’amica, riuscendo ad arrivare giusto in tempo per inserire tutto nel camion in partenza 2 giorni dopo.

Nel caricare l’auto, mi sono resa conto che le giovani maestre avevano sottovalutato il peso degli scatoloni, nel tentativo di accorpare il più possibile i prodotti.  Nel farmi forza per l’ennesimo peso, mi sono ricordata dell’invito di Chiara Lubich che aveva fatto quando eravamo giovani ad “amare con i muscoli”: che straordinaria opportunità avevo ancora oggi!

L’accoglienza al punto di raccolta è stata l’occasione preziosa per conoscere una bellissima realtà giovanile, e ritrovare lo spirito dei 20 anni, la gioia profonda di fare qualcosa insieme per gli altri.