“Essere connessi non significa ancora essere comunità”

Il vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze Sociali – Mons. Viganò – ha pubblicato, per le Edizioni Dehoniane Bologna, il volume dal titolo “L’illusione di un mondo interconnesso”: “Non dobbiamo passare sotto silenzio la consapevolezza che la manipolazione del sapere, che avviene in Rete attraverso algoritmi, dissimula la mediazione, favorendo e alimentando continuamente l’idea del contatto diretto”

fonte: AgenSir – 18 Luglio 2022  Filippo Passantino

Un intervento di Papa Francesco all’Accademia della Vita, la consapevolezza che non basta la semplice educazione all’uso corretto delle nuove tecnologie (esse non sono infatti strumenti neutrali, poiché plasmano il mondo e impegnano le coscienze sul piano dei valori). Muove da qui “L’illusione di un mondo interconnesso. Relazioni sociali e nuove tecnologie” di mons. Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze Sociali, per le Edizioni Dehoniane Bologna.
Dal libro emerge che i discorsi del pontefice esprimono la consapevolezza che i media non sono neutri e che il giudizio su di essi non dipende esclusivamente dall’uso che se ne fa; la loro stessa presenza nello scenario delle relazioni sociali modifica atteggiamenti, comportamenti, visioni e scelte. Con un riferimento all’enciclica Fratelli tutti, che richiama questi temi.

Perché un mondo interconnesso viene considerato una “illusione”?
Non c’è dubbio che la globalizzazione abbia rimpicciolito il mondo e permesso una crescita esponenziale agli scambi culturali. La condivisione che i social rapidamente agevolano costruendo una percezione di prossimità può essere tanto solidale quanto cinica. Infatti i social sono il regno dell’illusione e della bulimia informativa in Rete, che solo un loro uso ragionato e razionale può trasformare in reali possibilità. Come ci ricorda J.D. Bolter, «la nostra cultura mediale è straordinariamente ricca e, nella sua plenitudine, del tutto acritica. Contiene un’infinità di spazzatura, ma anche una gran mole di cose interessanti».

Non dobbiamo dunque passare sotto silenzio la consapevolezza che la manipolazione del sapere, che avviene in Rete attraverso algoritmi, dissimula la mediazione favorendo e alimentando continuamente l’idea del contatto diretto. In questo senso si può parlare di un mondo fatto di illusioni.

Se per anni abbiamo affermato, come Chiesa, che il giudizio sui media dipendeva dall’uso che di essi se ne faceva, oggi, come ricorda la Turkle, «gli studi dimostrano che la semplice presenza di un telefono sul tavolo (anche un telefono spento) muta qualitativamente l’argomento di cui le persone stanno parlando. Se pensiamo di poter essere interrotti in qualsiasi momento, tendiamo a mantenere la conversazione su argomenti banali o su tematiche che non suscitano polemiche né hanno particolare rilievo.

[…] Queste conversazioni con i telefoni sullo sfondo bloccano ogni legame empatico.

[…] Perfino un telefono silenzioso riesce a separarci».
Pertanto, è necessario tornare a scoprire il fascino e la forza del dialogo, della comunicazione tra persone che sanno anzitutto ascoltare, fare spazio all’altro, disporsi all’accoglienza. Papa Francesco ricorda che «il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia. Tuttavia, “il mondo di oggi è in maggioranza un mondo sordo

[…] Nel testo evidenzia come ci stiamo allontanando dal ritmo del dialogo umano, sotto scacco degli automatismi tecnologici. Quali sono le conseguenze?
Nell’attuale cultura digitale sta avvenendo una sorta di capovolgimento rispetto a un passato neppure troppo lontano: mentre alcuni decenni fa l’atteggiamento che guidava i nostri comportamenti era la discrezione e la riservatezza, e il timore di essere osservati diveniva una sorta di incubo, oggi facciamo di tutto per essere guardati, osservati, perché temiamo di essere abbandonati, ignorati, negati, esclusi. Basti pensare alla logica e alle dinamiche che presiedono la costruzione dei profili degli influencer. […]

È chiaro, dunque, che essere connessi non significa ancora essere comunità.

Siamo pertanto tutti chiamati a riappropriarci della relazionalità personale in presenza, perché «la conversazione diretta, faccia a faccia, – ricorda la Turkle – porta ad una maggiore autostima e migliora la capacità di trattare con gli altri. Ancora una volta, la conversazione è la cura».
Inoltre, non va dimenticato come ricorda il Papa, che «il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale». Oggi Lipovetsky ricorda che «più il capitalismo diventa “immateriale” e più si confonde con il capitalismo incantatore. […]

Come la pandemia ha cambiato la comunicazione?
Basterebbe ricordare le parole della semiologa Isabella Pezzini quando nel 2020 scriveva: “Il corpo in situazione parla tanto quanto l’intelletto: lo spazio è il luogo di questo discorso e struttura la sua grammatica, mentre la messa a distanza impatta sulla comunicazione e sulla mutua comprensione. La prossimità è il luogo della comunicazione delle conoscenze tacite, intersoggettive e non codificate. Stare insieme e a stretto contatto può produrre effetti di clan e di solidarietà, generare anche innovazione”.

Ecco, dunque, come è cambiata la comunicazione: è divenuta fredda privandosi della manifestazione degli elementi non verbali che orientano anche la percezione del senso della comunicazione verbale propriamente detta. […] Perché, a suo avviso, ci siamo ridotti ossessionati dai social?

Siamo ossessionati oggi dai social quanto ieri dalla Tv. I social oggi ci gratificano perché, idealmente almeno, pensiamo di poter essere interlocutori del mondo intero, immaginiamo di avere accesso alle personalità più importanti e ai circoli più esclusivi. Se però non ci facciamo anestetizzare dalla gratificazione, scopriamo anche la forte carica illusoria del mondo dei social.  […]

Quale visione scaturisce rispetto alla comunicazione dall’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco?
Il Papa nella Lettera enciclica Fratelli tutti invita tutti e ciascuno di noi a esercitarci «a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati. Ciò che chiamiamo “verità” non è solo la comunicazione di fatti operata dal giornalismo. È anzitutto la ricerca dei fondamenti più solidi che stanno alla base delle nostre scelte e delle nostre leggi. Questo implica accettare che l’intelligenza umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere alcune verità che non mutano, che erano verità prima di noi e lo saranno sempre. […]

In altre parole, essere connessi non significa essere necessariamente e maggiormente performanti. Anzi!

L’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco ci offre una riflessione e un insegnamento a partire dalla consapevolezza che la Storia «sta dando segni di un ritorno all’indietro» e che ora serve un plus di intelligenza e coraggio perché «abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune».

Leggi l’articolo integrale

Articolo correlato: Il Papa: i media digitali, un potente mezzo per promuovere la pace