Gioco d’azzardo. Pellerano: “Parlare di ludopatia è sbagliato e fuorviante”
“L’azzardo non è un gioco come gli scacchi, i giochi da tavolo o il gioco del calcio e non ha niente a che vedere con l’allenamento, la fatica o lo studio. In effetti, le persone non giocano, azzardano”, spiega al Sir l’esperto
Da AgenSir – Gigliola Alfaro
Le parole hanno un peso. Soprattutto quando riguardano fenomeni come il disturbo da gioco d’azzardo, troppo superficialmente sostituito da ludopatia. Ce lo spiega bene Fabio Pellerano, educatore professionale, esperto nel trattamento del disturbo da gioco d’azzardo e saggista.
È corretto parlare di ludopatia?
Alcune volte mi capita di incontrare giocatori che si definiscono ludopatici gravi, usando un termine che mi provoca sempre una reazione di fastidio che non lascio trapelare al mio interlocutore, almeno spero. La persona evidentemente si è documentata, magari sulla rete, sui giornali o in televisione, cercando giustamente di scoprire di che cosa soffra e dando un nome alla sua malattia, ma quel termine è sbagliato e fuorviante. In questi casi occorre usare termini come disturbo da gioco d’azzardo, azzardopatia oppure il superato gioco d’azzardo patologico. Purtroppo ad usare il termine ambiguo sono politici, giornalisti, amministratori locali e, a volte, anche gli operatori sanitari.
Come nasce il termine ludopatia?
Per la Treccani si tratta di un neologismo del 2012, che significa “dipendenza patologica dai giochi elettronici o d’azzardo”. È vero che la lingua italiana è meravigliosa e ogni anno fioccano nuove parole, ma il problema principale di questo neologismo è che mette l’accento su un comportamento, il gioco, che da sempre è un importante strumento educativo, socializzante, sfidante, divertente e rilassante per ogni fascia di età. Per fondamentali scopi distrattivi, gli inventori di questa nuova parola hanno tentato, con successo, di spostare l’attenzione dal vero problema: l’azzardo. Il gioco d’azzardo – e purtroppo la lingua italiana in questo caso non offre alternative come quella inglese – non è un gioco come gli scacchi, i giochi da tavolo o il gioco del calcio e non ha niente a che vedere con l’allenamento, la fatica o lo studio. A parte il poker giocato dal vivo con altre persone, la stragrande maggioranza dei giochi d’azzardo prevede una lotta impari contro il banco, che ha almeno tre fattori a suo favore: le probabilità, il tempo e di solito importanti capitali.
Ed è corretto chiamare coloro che soffrono di questo disturbo giocatori o anche questo è fuorviante?
In effetti, le persone non giocano, azzardano. Sarebbe anche interessante, perciò, non chiamarli più giocatori, ma azzardatori, per non confonderli per esempio con i giocatori del calcio o di altre competizioni sportive, ma questo è un altro discorso. continua a leggere

Leggi la Parola di Vita di questo mese >

